Un anno e quattro mesi di squalifica; è questa la sanzione comminata dal Tribunale nazionale antidoping alla pattinatrice azzurra Carolina Kostner, per “complicità” nel caso di doping dell’ex-fidanzato e marciatore Alex Schwazer. In sintesi, diranno probabilmente le motivazioni della sentenza che devono ancora essere depositate, la Kostner, in virtù del fatto che era la fidanzata ufficiale dell’atleta incriminato e sua convivente, sapeva perfettamente che il marciatore assumeva sostanze proibite; non solo non lo ha denunciato, come prevede il regolamento, ma ha pure tenuto nascosta la cosa quando sono iniziate le indagini. Una condanna che, seppur inferiore alle richieste della Procura, è molto severa e mette a serio repentaglio la carriera di quella che è considerata, e non a torto, la migliore pattinatrice italiana della storia.
Però liquidare così, con poche righe, questo episodio è alquanto riduttivo e crediamo che qualche riflessione in più vada fatta; però questa volta vogliamo andare controcorrente, non fermarci al fatto in sé ma chiederci il “perché” la Kostner non denunciò il suo Alex. Non crediamo sia così difficile intuire la verità tra due possibili ipotesi: era complice consenziente e lo facilitava nella assunzione di queste sostanze perché potesse vincere le medaglie o, molto più semplicemente, era molto innamorata? Non è facile trarre una conclusione, eppure ci viene da pensare che la Kostner possa anche aver tentato di tutto perché Schwazer smettesse con le sostanze dopanti, lo avrà pregato, avranno forse discusso decine di volte, gli avrà offerto tutto il suo amorevole supporto per aiutarlo. Insomma la Kostner più che un viso da “spacciatrice” ha quello di una ragazza che amava il suo ragazzo e probabilmente, se non lo ha denunciato, ci è facile pensare che è perché si è semplicemente comportata più da fidanzata che da atleta, facendosi guidare più dal sentimento che dal regolamento. Si è comportata, insomma, come si sarebbero probabilmente comportate milioni di fidanzate.
Insomma, nella vita di una persona non possono esistere solo le “tessere sportive” e i “regolamenti”, esistono anche i sentimenti e l’umanità, e quando le regole sono così ciecamente implacabili da distruggere anche quel poco di umanità e di amore che è rimasto nella nostra società, allora probabilmente anche lo sport non è più in grado di veicolare valori profondi ma solo rigidi tecnicismi. Ci troviamo di fronte all’eterna battaglia tra comportamenti etici e passioni, o meglio tra regole e amore; crediamo che in una Italia che sia degna di sé sessa, forse, una volta tanto, questa volta avrebbe dovuto vincere l’amore, la compassione, la comprensione della debolezza umana di una ragazza che, in fondo, tutto ciò che ha vinto sul ghiaccio lo deve solo alla grande fatica che ha fatto e non merita di essere messa sullo stesso piano di chi ha vinto assumendo farmaci. Forse l’amore, questa volta, meritava un posto sul podio più alto.