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Oltre le guerre, il grido dai tornei Csi: «Fateci giocare in pace»

Oltre le guerre, il grido dai tornei Csi: «Fateci giocare in pace»

Proprio la settimana scorsa, a Milano, è stata presentata la 1ª edizione della Volley Tim Cup, che vedrà impegnati 144 oratori e oltre 2.300 ragazze, spinte dal sogno di poter calcare, almeno per una volta, il parquet dei prestigiosi palazzetti. Un sogno, del resto, già vissuto da oltre 10.000 ragazzi che hanno avuto l’opportunità di sentire il profumo dell’erba dei più importanti stadi di Serie A. Con queste due iniziative il Csi ha voluto avvicinare il mondo dello sport professionistico a quello dei ragazzi, e ha chiesto ai ragazzi di contagiare i grandi. È un sogno quello che si realizza. Un sogno per il Csi che ha sempre riconosciuto la sua vocazione nell’essere “lievito” educativo all’interno dell’intero mondo dello sport. All’interno, non accanto o, peggio, isolandosi in un mondo incantato.

Insieme, è un sogno per tanti ragazzi. Chi non ha mai provato il desiderio di essere in mezzo al campo e sentire il boato del pubblico che chiama il tuo nome? Per una volta, a tanti ragazzi e ragazze è offerta l’opportunità di vivere da protagonisti accanto ai propri campioni. In carne ed ossa, da ammirare e toccare, per giocare una volta con loro e provare un’emozione fino ad oggi solo immaginata. E mentre questi nostri ragazzi cullano il loro sogno di poter giocare; altri, rincorrendo una palla sulla spiaggia di Gaza, vengono centrati da un missile. Poco più sotto, in un parco dove finalmente i bambini possono correre liberi, all’aria aperta dopo l’asfissia dei bui rifugi, il sorriso viene cancellato da un lampo improvviso che viene dal cielo ma guidato da mano d’uomo. Non sono gli unici sorrisi negati. Anche in altre parti del mondo ci sono bambini che smettono prestissimo di giocare perché ogni energia si concentra per la sopravvivenza. Gli unici giochi concessi loro sono giochi da adulto: le guerre. È vietato o impossibile divertirsi.

Ci sono tanti bambini a cui si spera di restituire almeno la fantasia e il sorriso. Magari cominciando a chiedere a tutti coloro che parteciperanno ai nostri campionati di farlo con fantasia e sorriso. E poi, guardando e rispettando il sorriso degli altri, di coloro che condividono quest’esperienza, si può dare l’opportunità di creare un’occasione di pace. Chi vive sempre in stato di guerra, pensando che scendere in campo assomigli ad una battaglia, porterà nel cuore l’abitudine a misurarsi solo con rapporti basati sulla forza e sulla prevaricazione. Lo sport invece vuole creare relazioni, gettare ponti, abbattere muri per insegnare ad accettare e ad essere accettati, ad abolire la disuguaglianza, che è un giudizio di valore, e ad affermare la diversità quale dato di fatto. Per le strade di Amsterdam, mentre già erano cominciate le deportazioni, l’ebrea olandese Etty Hillesum, discuteva con un suo amico: «Vedi Klass non si combina niente con l’odio. Ognuno deve distruggere in se stesso ciò che vorrebbe distruggere degli altri… Ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende più inospitale». Che questi tornei che cominciamo siano un occasione per urlare al mondo: «Fateci giocare in pace».

L’autore - Chi è Don Alessio Albertini

Don Alessio Cirillo Albertini è il consulente ecclesiastico nazionale dal 2012. Fratello di Demetrio, ex-calciatore del Milan e dirigente sportivo, Don Alessio è cappellano in una parrocchia di Pero (MI), ma anche commentatore televisivo, scrittore e responsabile dell'Ufficio sport della Diocesi di Milano.

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